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Il Piceno, la crisi e il silenzio. Di questo passo, dove andremo a finire?

Con poche, sante parole biascicate e intrise di saggezza, i nostri nonni di fronte a certi scenari preoccupanti solevano dire: “di questo passo, dove andremo a finire?”. E questo è un po’ lo stesso refrain che ci frulla costantemente nella testa in questa fase in cui un territorio bello e intrigante come il Piceno sembra sempre più accartocciarsi su se stesso, senza almeno apparenti colpi di coda dettati dall’orgoglio. Nessun vittimismo, per carità, ma quel che più preoccupa, in una situazione di quasi cronico ristagno economico-occupazionale, è l’indifferenza. Non può non lasciarci interdetti il fatto di vedere ogni tanto passare i “cadaveri” occupazionali di industrie che hanno scelto l’opzione mordi e fuggi, - dove il morso è riferito a contributi e agevolazioni – senza che qualcuno si mostri realmente addolorato e preoccupato, a parte le famiglie dei tanti lavoratori lasciati a spasso. Non può non farci riflettere il fatto che si sono messi in piedi talmente tanti tavoli (di concertazione) che qualcuno potrebbe scambiare il Piceno per un mobilificio. Sì, ma un mobilificio a grave rischio fallimento, perché sempre ignorato e calpestato dalle stanze dei bottoni. Quelle che partoriscono finanziamenti e agevolazioni non per le aziende ben introdotte (pronte a fuggire), ma per i territori. Ed ecco allora che, dopo le coltellate ad aziende come l’Haemonetics, la Prysmian e tutte quelle che in questi anni hanno formato un lungo, triste, elenco, si è parlato di spiragli, di apertura dalla Capitale, di riconoscimento di un’area di crisi e di progetti per rilanciare il territorio. E tutti pronti, in riga, a recitare il proprio ruolo, con tempi stretti da rispettare e speranze in tasca. Poi, per tutti quelli - i cittadini/lavoratori - che stanno alla finestra, è tornato il silenzio. E magari sarà così fino a che qualche altra serranda industriale non tornerà ad abbassarsi trascinandosi a cascata la serrata di almeno altri trenta negozi. Allora, non ci si stupisca se torniamo a pensare a quelle sante, biascicate parole dei nostri nonni: “di questo passo, dove andremo a finire?”.

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